Il flash o lampeggiatore elettronico è la sorgente luminosa più comoda e facile da utilizzare quando la luce naturale è scarsa. La grande maggioranza delle macchine fotografiche compatte è dotata di flash incorporato, ma ha una debole potenza e non riesce a illuminare oltre i 2-3 metri. Inoltre è collocato vicinissimo all’obiettivo, quindi crea un’illuminazione frontale piatta, senza ombre e rilievo. Perciò è meglio utilizzare, ogni volta che sia possibile, un flash portatile, che ha sempre una potenza superiore a quella del flash incorporato e si può collocare in qualunque posizione.
Risulta essere difficile prevedere l’effetto della luce lampo e anche la sua potenza, a meno di non usare l’apposito esposimetro professionale.
Questi svantaggi sono compensati dalla brevità, che permette di bloccare al volo movimenti molto veloci, e dalla potenza, che permette di illuminare anche soggetti lontani e di usare diaframmi piccoli, per ottenere una maggiore profondità di campo.
La caratteristica più importante di un flash è la sua potenza che si esprime con il numero guida di base per le pellicole da 100 ISO. Un flash con il numero guida 45 è più potente di uno con numero guida 32, ma è possibile usarli entrambi in modo che forniscano l’esatta quantità di luce necessaria.
Dividendo il numero guida per la distanza in metri dal flash al soggetto si ottiene il diaframma da usare per ottenere l’esposizione perfetta. Per esempio, con un flash con NG 32, per fotografare un soggetto a 4 metri di distanza, bisogna usare il diaframma 8.
Se la distanza è di 10 metri, ci vuole il diaframma 3,2 (ma anche 3,5 va bene). Però il numero guida non è infallibile, perché è stato calcolato in base a soggetti di luminosità media, in ambienti chiusi in cui le pareti riflettono una buona quantità di luce sul soggetto. All’aperto o in un locale con le pareti scure bisogna aumentare l’esposizione, occorre invece ridurla in un ambiente con le pareti bianchissime.
Fortunatamente la grande maggioranza dei flash in commercio elimina la seccatura di fare il calcolo, perché regola la propria potenza in base alla luce riflessa dal soggetto. Una cellula situata nella parte anteriore del flash misura la luce riflessa e interrompe l’emissione una volta raggiunta la dose giusta. Quindi basta impostare sulla macchina il diaframma più adatto al soggetto e lasciare che il flash regoli da solo la luce. Bisogna però ricordarsi di restare entro la distanza di lavoro concessa dalla potenza del flash. I fotografi professionisti risolvono questi problemi mediante speciali esposimetri, che misurano esattamente la quantità di luce che cade sul soggetto. Le macchine reflex più sofisticate possono usare i cosiddetti flash “dedicati”, perché misurano la luce attraverso l’obiettivo.
Per fare scattare il flash nello stesso istante in cui è aperto l’otturatore si usa un cavetto di sincronizzazione, oppure il cosiddetto contatto caldo situato sulla slitta degli accessori, sopra il mirino. Il cavetto si collega alla presa di sincronizzazione sul corpo della macchina.
In alcune macchine professionali le prese sono due, contrassegnate con le lettere X e B. Il cavetto va collegato alla prima, perché l’altra serve per le lampadine lampo (dette in inglese bulb), da usare quando si ha bisogno di una luce molto potente, per esempio per illuminare l’interno di una grotta.
La corrente elettrica è fornita da pile oppure da batterie ricaricabili, che però offrono una minore autonomia. Le pile più indicate per il flash sono quelle alcaline. Lavorando in casa o vicino a una presa di corrente è possibile utilizzare la corrente di rete, molto più economica delle pile, mediante un alimentatore.
La stragrande maggioranza delle fotografie con il lampo viene eseguita generalmente con il flash montato sulla slitta degli accessori o sulla staffa ad angolo. In questo modo si ottiene un’illuminazione piatta, dove le uniche ombre visibili sono quelle che i soggetti in primo piano proiettano sullo sfondo. Un netto miglioramento dell’illuminazione si ottiene togliendo il flash dal suo supporto e puntandolo con la mano sinistra verso il soggetto, di fianco o dall’alto.
Nei ritratti il volto acquista rilievo, perché il mento, gli zigomi e le labbra sono evidenziati da un’ombra, e sparisce la brutta ombra dietro il soggetto.
Un effetto ancora migliore si ottiene con la tecnica del flash riflesso, che fornisce l’impressione che la foto sia stata scattata soltanto con la luce ambiente. Basta puntare il flash verso una parete laterale o verso il soffitto, se non è troppo alto o di colore scuro. Le ombre risultano molto morbide e sparisce l’effetto di “messa in posa” tipico delle foto scattate con il flash frontale. Con questa tecnica il fotografo è più libero, perché può sistemare il flash dove vuole, per esempio sopra un armadio, e poi muoversi liberamente nella stanza, grazie a un lungo cavetto di sincronizzazione.
Esiste anche un sistema per evitare di avere sempre il cavetto tra i piedi: si monta sulla macchina un flash piccolo e si applica sul flash più grosso una cellula slave (schiava) che lo fa scattare contemporaneamente al primo. Alcuni modelli di flash professionale hanno questa cellula già incorporata.
Calcolare l’esposizione per il flash rilesso è problematico, ma come regola si deve tenere conto della distanza totale che la luce compie dal flash alla superficie riflettente e infine al soggetto. Con il sistema dello slave si possono usare anche più di due flash, ma in questo caso per calcolare l’esposizione è necessario l’esposimetro per luce lampo.
Per fotografare grandi ambienti, come l’interno di una chiesa o un museo, disponendo soltanto di un flash, si può usare la tecnica dell’open flash. Consiste nel piazzare la macchina sul cavalletto, aprire l’otturatore e andare in giro per il locale scattando un lampo dopo l’altro, senza cavetto di sincronizzazione, fino a illuminare tutti gli angoli dell’ambiente.
Potete passare tranquillamente davanti all’obiettivo, perché la pellicola registra soltanto ciò che viene illuminato in pieno dal lampo.